Passarono i giorni, i mesi. Passarono persino gli anni. Come sabbia tra le dita, passarono. A volte lisci a volte ruvidi e difficoltosi, ma tant'è, passarono.
Un giorno si svegliò e dopo tanto tempo, tanto di quel tempo che non avrebbe saputo dire quanto, pianse.
Pianse di nuovo.
E' che non sapeva più come si faceva.
Ci aveva perso la mano.
Cominciò a singhiozzare come un ubriacone e le spalle presero ad andare sù e giù da sole, a piccoli colpetti, automaticamente. Si spaventò quasi, all'inzio. Provò anche a trattenere tutta quella roba che aveva dentro. Quella roba non aveva nè nome nè colore nè odore. Doveva solamente uscire.
Quel ragazzo, dopo un lasso di tempo ragionevole, lo capì e lasciò gli ormeggi e tutto venne giù come un grattacielo gonfio di tritolo, come un temporale d'agosto, come un coito selvaggio.
Il telefono squillò a lungo. E squillò ancora e ancora.
E ancora.
Il ragazzo era diventato quel che chiamano le tre "L": Leggero, Libero, Lucente.
Mise nove cose in una sacca e partì.
Il telefono squilla ancora.
Bellissimo questo racconto...
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