venerdì 15 gennaio 2010

Un racconto


Frank

Avevo un compagno di classe. Si chiamava Frank. Era uno di quei ragazzi PERFETTI: alto, bel fisico, intelligente, ben educato, molto maturo e decisamente brutto. Il sogno di ogni madre.
Aveva la media del 10 e tutti gli anni usava regalare, per la festa della donna, le mimose per ogni compagna e ogni professoressa. Noi avevamo soprannominato quell’evento come il “Leccaculo Day”. Anche perché le nostre compagne di classe erano più simili a buttafuori nani incazzati che a dolci donzelle meritevoli di doni floreali. Regali adatti avrebbero potuto essere delle clave, delle mazze chiodate o dei trichechi impagliati da tirare a lucido.
Comunque sia, il nostro amato protagonista, per i cinque anni delle scuole superiori non prese mai voti al di sotto del nove, rimase seduto sempre attaccato alla cattedra e non saltò mai un giorno di scuola. Qualcuno cominciò a sospettare che fosse un cyborg.
Inutile dire che non avesse l’ombra di un amico e che le parole:
vagina, sesso, divertimento e follia non facessero parte del suo dizionario.
Io non gli parlai mai, almeno per i primi tre anni. Provavo una specie di ribrezzo misto a paura per le forme di vita non ancora conosciute.

Ho un ricordo in particolare: un giorno dell’ultimo anno, in inverno, arrivando a scuola vidi tutti gli alunni fuori dai cancelli. Qualcuno mi disse che i termosifoni erano spenti e così si scioperava perché faceva troppo freddo. Personalmente, non poteva fregarmene di meno, così proposi di andare in un bar. Mentre esponevo la mia aristotelica tesi, vidi Frank varcare i cancelli della scuola in solitaria e dirigersi in classe, come un giovane Napoleone sotto i cieli di Parigi. Cori di “buuuuu” e fischi si levarono in tutta la provincia e Frank borbottò:
- Siete solo capaci di queste cose futili!
Nessuno aprì bocca perché nessuno, in realtà, conosceva il significato del termine “futili”. Però, quel pomeriggio, furono quattro ragazzi a spiegare a Frank il significato di “rissa per strada”. Da quel giorno qualcosa s’incrinò nella linea perfetta della vita di Frank.

Dopo un paio di mesi ci fu la gita. Le tre classi dell’ultimo anno, insieme, a Budapest. Le promesse di mettere a ferro e fuoco la città si sprecavano e ognuno voleva rendere indimenticabile quell’ultimo viaggio in comitiva.

Partimmo presto, ore 5:00. Destinazione Salisburgo per la prima notte e poi via verso Budapest. Qualcuno si presentò già ubriaco e io m’innamorai appena salito sul pullman. Una rossa bellissima.
Il mattino è fatto per dormire. E’già così difficile fare qualunque cosa, figuriamoci innamorarsi.

La sera uscimmo tutti insieme: un gregge di pecore belanti. Finimmo in un locale semideserto e il proprietario, si destreggiò con tutta la compilation di Eros Ramazzotti. Mi assalì l’istinto di uccidere qualcuno, così mi girai verso il barman e dissi:
- Tua moglie è una puttana!
Lui, con un mezzo sorriso rispose:
- No pùtana. Drink drink!
Ok, ricevuto. L’importante era bere.
Scorsi Frank che non la smetteva di tracannare della doppio malto, mentre ci provava con una grassona dell’altra classe.
Un paio d’ore dopo eravamo in quattro a reggerlo lungo la strada verso l’hotel. Noi ridevamo come pazzi, mentre lui piangeva. Forse aveva visto Dio.
Un paio di prof ci udirono e uscirono dalle loro stanze:
- Come vi siete ridotti?! Andate subito in camera e vedete di fare piano. Domani ne riparleremo…
Scoppiammo a ridere all’unisono e lasciammo andare Frank che piombò a terra come un sacco di patate.
- Cadde come corpo morto cade. - recitò Marco, mentre noi continuavamo a ridere.
- Si può sapere che cosa gli avete fatto? – chiese una prof. Ovviamente, secondo le loro testoline così fini, se Frank aveva peccato, doveva essere colpa di uno di noi che, come il demonio, l’aveva condotto fuori dalla retta via.
- Niente prof, stia tranquilla. Ha solo bevuto un po’ troppo e non essendo abituato ora è un po’ a pezzi. Adesso andiamo tutti in camera e domani sarà tutto a posto. Lo prometto.
Il mio discorsetto pareva convincente, i miei compagni di sventura, supportarono il tutto annuendo seriamente.
- Ricordatevi che alle sette in punto si parte, avete tre ore di sonno. E domani verrete tutti e cinque a rapporto e non voglio scuse. Intesi?
- Intesi. - Fu la risposta unanime.
- E ora tirate su Frank e sparite!
Raccogliemmo il nostro compagno e andammo in camera a buttarci sul letto. Ci aspettava una giornata da schifo.
Poche ore dopo, vennero a svegliarci.

Approfittammo delle ore di viaggio per dormire un po’.
Arrivati a Budapest iniziammo a visitare la città. La prof non ci chiamò, forse anche lei troppo stanca, così, non appena ci lasciarono liberi per la sera, uscimmo portandoci Frank appresso. Finimmo in una bella birreria del centro, dopo aver ricevuto offerte di ogni tipo: dalla droga alle prostitute. Ci dicevano: - Italiani?, e noi – Si, italiani. e loro – Bene bene, allora voi ecstasy, voi fumo, voi coca. Costa tutto poco poco. oppure: - Bene bene allora voi sega, culo, figa costa tutto poco poco.
Una reputazione d’oro, mi verrebbe da dire.
Comunque sia, la birreria si riempì in poco tempo, c’erano molte tavolate di giovani come noi. Probabilmente anche loro in gita. Dopo il quarto boccale Frank si alzò e puntò un tavolo, urlò qualcosa in un inglese incomprensibile e si lanciò ad angelo sul tavolone. Lo si sentì ridere al di sopra del rumore dei boccali che andavano in mille pezzi. Sanguinava dalle braccia, fortunatamente i tagli erano tutti lievi così, dopo aver subìto la sfuriata del padrone, esserci messi in ginocchio pregandolo di non chiamare la polizia e dopo aver pulito tutto quel casino, tornammo in hotel. Non riuscimmo a non complimentarci con Frank per l’originale follia di quel gesto.
La cosa passò di bocca in bocca più veloce del vento e il nostro compagno si trovò in men che non si dica a rapporto dai professori. Ci raccontò che si scusò con loro per il suo comportamento, disse che non l’avrebbe più fatto e che era solo lo sfogo di un adolescente. Non disse però del peso che sua madre gli metteva addosso, sua madre che voleva un figlio modello. Scolpito da lei nel marmo della vita, scolpito per realizzare ciò che lei non aveva potuto fare. Frank portava quella croce. Quotidianamente. Ora voleva liberarsene, voleva gettarla, se possibile bruciarla.
Finì la gita e, nel giro di due mesi, ci fu l’esame di maturità. Frank fu l’unico in tutta la scuola a prendere 100 su 100.
Il giorno seguente rubò la macchina ai suoi e s’imbarcò sul primo traghetto per la Spagna. Mi pare di vederlo: l’espressione per metà incupita e per metà splendente di luce: il sapore della libertà.

Tramite ex compagni ancora in contatto con lui, si è venuto a sapere, a distanza di quasi otto anni che Frank è un abituale consumatore di droghe. Si è venuti a sapere che minaccia alcuni colleghi di lavoro e ruba auto, che si è ricoperto di tatuaggi e che non torna più a casa dal giorno in cui è partito.
Così, io dico: Salute e lunga vita a te, Frank.
Ma soprattutto: Lasciate danzare la vostra ombra e qualche volta giocate con lei prima che lei giochi con voi.

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